di Erre Bi
AVELLINO | Cabine vuote e schede immacolate. In questi due giorni di ballottaggio l’astensionismo come uno spettro si è aggirato tra i seggi del capoluogo lasciando aule deserte e percentuali negative a due cifre. Come era prevedibile, tutti si aspettavano un calo nell’affluenza alle urne. Tra il primo e il secondo turno elettorale è quasi fisiologico registrare una contrazione del numero votanti. Tuttavia nessuno poteva immaginare una simile flessione. Secondo l’ultima rilevazione, registrata alle 22 di ieri sera, rispetto a due settimane fa la partecipazione è crollata, arrivando a segnare -18%. Dunque, dati alla mano, è possibile che, per Avellino, il primo cittadino venga eletto da meno della metà degli aventi diritto.
L’ANALISI DI D’ALIMONTE | Ma perché questa costante decrescita di partecipazione in tutto il Paese? Il politologo Roberto D’Alimonte, dalle colonne del Corriere della Sera, in un’intervista rilasciata alla giornalista Alessandra Arachi, analizza il problema da due prospettive: quella storica e quella comparata.
Partendo dalla prima visione, una diminuzione delle preferenze espresse alle urne era cosa praticamente scontata: «Dal 1979 ad oggi – spiega D’Alimonte - c’è sempre stato un calo nell’affluenza. Siamo partiti da oltre il 90% per arrivare al febbraio di quest’anno al 75%» . Tuttavia questi numeri negativi, trasportati nel quadro dell’Ue, assumono un valore completamente diverso: «L’Italia rimane comunque il Paese con la più alta affluenza alle urne, rispetto alla Francia, alla Germania, all’Inghilterra che si fermano sotto il 70%».
I FATTORI DETERMINATI | Secondo il politologo i fattori per cui la gente va sempre meno a votare sono tanti. Il primo è legato «Alla diminuzione del voto di scambio, ovvero il voto clienterale». La differenza tra la tornata di maggio e quella di giugno è dovuta anche al fatto che «nel ballottaggio non c’è il voto di preferenza come al primo turno». Poi, come secondo fattore, c’è «la debolezza dei partiti che oggi non riescono più ad avere la forza per portare gente alle urne». E ultimo aspetto, di tipo strutturale, è l’invecchiamento della popolazione: «Le persone anziane spesso si recano malvolentieri a votare».
DEMOCRAZIA SOLIDA | In ogni caso, assicura D’Alimonte, non c’è da preoccuparsi: la contrazione del numero dei votanti non mette in discussione la democrazia: «Un alto livello di partecipazione non è necessariamente una cosa buona. E viceversa, un basso livello di elettori che infilano le schede nelle urne non è qualcosa di deprecabile»
CLASSE POLITICA NUOVA | Fondamentale però che i partiti recuperino smalto e credibilità. «Bisogna ricostruire una buona classe politica che ridia speranza alle persone – chiude il politologo». Ed è forse davvero questo il punto da cui partire per ricostruire un rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni.
Lunedì 10 giugno 2013
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